(segue da smart living)
Al capitolo Smart Economy fanno capo tutte le attività tese a valorizzare ed innovate le componenti economiche di un territorio, come
- spirito innovativo
- imprenditorialità
- immagine
- produttività
- flessibilità del mercato del lavoro
- collegamenti internazionali
- capacità di trasformare
Alcuni fra questi elementi – vedi ad esempio la flessibilità del mercato del lavoro – sono manifestamente al di fuori della portate delle comunità locali ed a carico del governo centrale. Su molti altri, invece, ogni territorio può organizzarsi ed attrezzarsi autonomamente per definire strategie e mettere in campo iniziative su misura per le esigenze del territorio.
Per innovare è necessario approcciare ai problemi in maniera non convenzionale, ed in questo può essere di grande utilità un impiego massiccio (ed avanzato) delle tecnologie dell’informazione.
Oggi il livello di diffusione e di pervasività di internet, infatti, consente di allargare i propri orizzonti al di là dei confini fisici di un territorio. Essere in grado di sfruttare in maniera creativa questo tipo di possibilità può significare molto in termini economici.
Amche in questo caso, cito giusto un esempio. Ci sono una vastissima gamma di servizi che possono essere esternalizzati (ovvero dati in outsourcing, come si dice oggi) ed essere gestiti da remoto, in tele lavoro. Si tratta principalmente di attività che richiedono un alto profilo di qualificazione. In questo ambito, chi lavora in aree di provincia può beneficiare di costi di gestione mediamente più bassi di quelli chi chi opera in aree ad alta densità urbana e, quindi, ha l’opportunità di potere offrire maggiore competitività.
Sempre per rimanere nell’esempio, tradurre testi da una lingua straniera, così come scrivere delle ‘App’ per il settore del mobile computing, non implica la necessità di lavorare a contatto con il datore di lavoro.
Ci sono tantissime professionalità che potrebbero beneficiare di un approccio di questo tipo. I vantaggi sono tanti: al di là della evidente flessibilità, la possibilità di lavorare a casa propria contribuirebbe a ridurre l’emigrazione intellettuale e darebbe un contributo ad incrementare il P.I.L. del territorio. Certo, rimane il problema del raccordo fra l’offerta di professionalità e le richieste di lavoro, che peraltro in Italia ha risvolti di natura giuridica, ma esistono piattaforme internazionali – come ad esempioo oDesk – che svolgono egregiamente questo compito.
Vorrei citare un altro elemento di grande importanza per la Smart Economy (e non solo), che ha in internet il veicolo principe di veicolazione e diffusione, ma che ad oggi è ancora relativamente poco noto. Mi riferisco agli open data o, per dirla all’italiana, ai dati aperti.
L’evoluzione dal concetto di ‘chiuso’, ovvero di proprietario, verso il concetto di ‘aperto’, inteso come liberamente fruibile dalla collettività, ha costituito una delle novità più importanti del mondo dell’informazione degli ultimi anni.
Nel campo del software questa differenziazione è ben nota alla stragrande maggioranza dei proprietari di un computer. Tutti sanno che Microsoft Office – giusto per citare un programma ben noto – è un prodotto proprietario, che ha un suo costo, ed i cui codici sorgente sono un segreto industriale molto ben custodito. Di contro ci sono programmi come OpenOffice o LibreOffice che non solo sono scaricabili ed utilizzabili da chiunque, senza dover spendere un centesimo, ma di cui è anche disponibile l’intero codice sorgente, che può essere liberamente modificato e perfezionato (nel rispetto dei limiti imposti della licenza).
Lo stesso accade nel mondo dei dati, che sono normalmente di proprietà di aziende che li raccolgono e vendono, e che quindi non possono essere distribuiti liberamente, ma devono essere acquistati per poter essere utilizzati su licenza.
Un esempio di immediata comprensione è costituto dai dati cartografici utilizzati nei navigatori satellitari. Quasi tutto il mercato è in mano a due grandi aziende del settore, che vendono i propri archivi in licenza ai produttori dei dispositivi. Se voglio tenere il mio navigatore al passo con le evoluzioni delle reti stradali devo abbonarmi ad un servizio, oppure acquistare singoli aggiornamenti.
Nell’ambito della cartografia, però, esistono anche dati open, quindi di pubblico dominio, come quelli forniti da openstreetmap.org. Non solo sono universalmente fruibili, ma possono essere scaricati ed utilizzati liberamente. Sono frutto in parte dal lavoro di un gran numero di collaboratori volontari, ma una quantità rilevante di essi sono forniti direttamente da chi li gestisce in via diretta, cioè la pubblica amministrazione.
Le P.A. hanno un grande ruolo in questo contesto, così nell’ambito più ampio del concetto di smart economy. Le molteplici aree di competenza degli enti pubblici, infatti, mettono le amministrazioni nelle condizioni di gestire una grandissima mole di dati, che interessano un ampio spettro di settori operativi. Rendere questi dati liberamente accessibili ai cittadini è un vantaggio competitivo notevole per chi opera sul territorio. Senza contare che la disponibilità di open data, favorisce la conoscenza delle realtà territoriali e, quindi, può contribuire concretamente alla promozione di un territorio.
In Italia sono attive varie iniziative operative, come il portale del Governo su www.dati.gov.it, quello delle Camere di Commercio (a cui aderisce anche la Camera di Commercio di Potenza, che stranamente sulla carta è localizzata nelle vicinanze di Melfi), amministrazioni regionali come il Piemonte e anche progetti indipendenti come DatiOpen.it.
Ma gli open data non sono solo una risorsa di supporto alle attività economiche. Sono informazioni preziose per ogni cittadino, perché forniscono un contributo significativo a tutti i processi di trasparenza. Ne riparlerò parlando di smart citizens, ma a chi fosse interessato a conoscere qualcosa di più segnalo questo articolo sull’esperienza della città di Chicago.
(segue in smart governance)