Colgo l’occasione della festività del nostro Patrono per riproporre una lettera che scrissi 13 anni or sono all’allora sindaco di Potenza, Gateano Fierro, e la sua riposta dalle pagine della Nuova Basilicata. Dal mio punto di vista i problemi anzichè mitigarsi sono di gran lunga peggiorati. So bene che la mia è una voce nel deserto, ma il mio cuore di putenzese mi impone di non rimanere in silenzio, per quello che vale.
Voglio portare a vostra conoscenza tutto il mio disappunto di putenzese, affezionato alla mia terra ed alle sue tradizioni, provato nell’assistere alla cosiddetta “Storica leggendaria processione dei Turchi”. Questa è oggi la dimostrazione tangibile del fatto che il progressivo indebolimento dell’identità culturale della città è giunto ormai ad un punto limite; tale da fare passare inosservato il sacrificio di storia e tradizione sull’altare della spettacolarità teatrale. (…) Le manifestazioni connesse alla ricorrenza di San Gerardo hanno un loro connotato preciso e ben definito, reperibile in documenti storici ma, soprattutto, ben scolpito nella memoria storica di un popolo: le sue generazioni anziane. Negli ultimi lustri, questa, memoria è stata messa volutamente da parte, per lanciarsi nelle sperimentazioni più ardite. Passati negli anni scorsi per la fase orientale, con il centro storico immerso in nenie arabe, evidentemente stiamo attraversando la fase rinascimentale! E’ superficiale e pretestuoso affermare, come ho letto sulla stampa in questi giorni, che “la Pro Loco del capoluogo non ha voluto puntare sulla ricerca storica, che appare farraginosa ed improvvisata, ma basandosi sugli scritti dello storico Raffaele Riviello, ha creato un connubio tra le tradizioni della nostra terra e lo spettacolo”. Se di storia in questo caso si deve parlare, è di “storia della tradizione” e chiunque si assume l’onere di mettere mano ad una manifestazione che affonda le sue origini nella notte dei tempi non può esimersi da una ricerca seria (quindi, per definizione, non improvvisata). Di materiale per la ricerca non manca: esistono varie descrizioni della sfilata, a parte quella citata, e rileggendo tali testo non mi sembra proprio di rinvenire qualcosa che giustifichi il fritto misto di temi, sacri e profani, che hanno scandito la manifestazione teatrale di tre giorni or sono. La realtà è che la cosiddetta “Storica leggendaria processione dei Turchi”, pur incorporando al suo interno alcuni elementi della sfilata dei Turchi, è sostanzialmente un’altra cosa: un falso storico. Nobili a cavallo, sbandieratoli, patii, giostre e quintane sono elementi di tradizioni per noi totalmente aliene ed è mortificante per la nostra cultura andare a cercare con il lanternino di Diogene dei pretesti per spacciarli, usando le parole del sito web della Pro Loco, come “segno di un richiamo alla storia e alla tradizione sempre più forte”.
E’ un falso storico far credere che Potenza abbia avuto sei porte. In realtà queste erano quattro: Pòrta San Gerardo, Porta San Giovanni, Porta San Luca e Portasalza, demolita nel 1818 per dare accesso al cosiddetto borgo. Esauriente, in merito, è il documento della commissione comunale per la toponomastica del 1901 che recita: “fin dai remoti tempi l’accesso alla città si verificava attraverso le quattro porte (…) né altre porte ci risultano, come ricordo, nelle “Memorie della città di Potenza’ del Vìggiani e nella “Cronaca Potentina’ del Riviello”. (…) Da questo discende che anche è altrettanto falsa la distinzione in contrade e la presunta rivalità del popolo delle porte su cui è incardinato l’impianto della succitata “processione”. Oltretutto, credo proprio che tutti sappiano che a Potenza ci si è sempre riconosciuti, sia pure a livello puramente goliardico e nelle fasce d’età più giovani, in due distinte parti: quelli di castiedd’ e di porta s’àueza. Né sarebbe potuto essere diversamente in un abitato dalle dimensioni così ridotte. Ma, al di là dei falsi storici, la cosiddetta “Storica leggendaria processione dei Turchi” è organizzata in modo da costituire la totale negazione delle radici che sono alla base della sfilate dei turchi e, probabilmente, le motivazioni che hanno spinto i nostri avi a perpetrarla di anno in anno da tempo immemore. La sfilate era la festa dei ceti subalterni della città. Dei pillicc’ che una volta all’anno si prendevano la rivincite con la popolazione abbiente, diventando per un giorno i protagonisti della vita cittadina. Erano questi a costituire il cardine della manifestazione: contadini, nel costume potentino della feste conducenti l’asino addobbato con in groppa i figlioletti vestiti da angeli, o mascherati da turchi. Esauriente a tal proposito è la descrizione di Francesco Cappiello, giornalista napoletano inviato nel 1923 a Potenza a descrivere la feste di San Gerardo per il periodico “Basilicate nel mondo” (…) A sfilare non erano certo gli improbabili signorotti a cavallo, sfarzosamente vestiti, visti nei giorni scorsi per le strade cittadine (…) Nel sito web della Pro Loco si legge: “Queste, secondo la Pro Loco Potenza -che pure non intende rinnegare i presupposti alla base delle manifestazioni degli anni scorsi fino al 1999- e dunque la strada maestra per iniziare un tragitto che porti nel tempo la sfilate dei Turchi ad ottenere quella continuità alla base del successo turistico, oltre che spettacolare, di ogni iniziativa del genere”. Si legge, inoltrò: “La Pro Loco Polenta è disponibile ad assumersi queste responsabilità, sapendo di poter contare sulla piena e preziosa collaborazione della Parrocchia di San Gerardo (…). lnoltre, si resta in attesa delle determinazioni da parte dell’amministrazione municipale in ordine all’eventuale consulenza sul piano della direzione artistica dell’evento e dei momenti di alta spettacolarizzazione dello stesso (…) “. Che la Pro Loco veda nella festa di San Gerardo solo una occasione da sfruttare sotto il profilo turistico è forse comprensibile. Non lo è, invece, il lasciar passare sotto silenzio che questo venga fatto stravolgendo una tradizione pluricentenaria. Mi immagino cosa succederebbe se qualcuno provasse a rivisitare, stravolgendolo, il “Palio di Siena” o la “Giostra delle Quintane”! Nella Potenza di oggi nulla succede, perché l’identità culturale è così diafana e i putenzesi così sparuti che le loro voci si sperdono nel rumore generale. Che però sul piano culturale la situazione sia veramente drammatica è facilmente constatabile. Provate a chiedere ad alcuni ragazzi ed adolescenti cosa conoscono della feste di S. Gerardo e dei Turchi: riceverete risposte laconiche o le solito frasi sterotipate. (…) Sulla stampa il 30 maggio si leggeva: “Questo, ormai, accade da più di un secolo, anche se nessuna tradizione popolare scritte e nessun documento, è in grado di giustificare u na tele usanza”; se è vero che molti secoli sono più di uno, è del tutto falso che nessun documento sia in grado di giustificare la manifestazione, visto che di “spiegazioni” ne esistono almeno quattro. O cosa dire delle didascalie del sito della Pro Loco, che chiamano il Gran Turco “Cipollino”, nome appioppatogli in tempi recenti da coloro che, forestieri, non riuscivano a pronunciare il suo nome Cuuvuddin, e le ginestre “pipol” invece, che pip’l? Proseguendo così, vista l’omofonia del termine e l’esterofilia di cui siamo pervasi, ci troveremo forse prima o poi a chiamare le ginestre people? Mi preme ricordare che quando nel 1967 L’ammìnìstra zione comunale presiedute dall’avvocato Petrullo decise di ridare slancio ad una stanca ed appannate sfilate dei turchi, l’approccio scelto fu radicalmente diverso. Riprendo le parole utilizzate a suo tempo da Petrullo nella presentazione della manifestazione: “La cittadinanza di Potenza ha raccolto il ricco patrimonio morale che viene dagli avi ed ha inteso mantenerlo intatto per trasmetterlo incorrotto, nella purezza del suo significato, alle nuove generazioni“. E! evidente che oggi il declino della città di Potenza come comunità avente una storia, una tradizione e un dialetto è ormai estremamente avanzato. Nel giro di pochi anni la memoria storica costituite dagli anziani potrebbe essere perdute per sempre. Credo che l’amministrazione comunale abbia la responsabilità morale di evitare che questo patrimonio vada ulteriormente disperso e di intraprendere serie e concrete iniziative per favorire la riscoperta e la diffusione della cultura popolare potentina, della storia della nostra città, delle nostre tradizioni. Mi riferisco ad attività organiche nelle scuole, allo studio degli scrittori e dei poeti nostri concittadini, alla valorizzazione del teatro in vernacolo potentino. Sono tutti interventi che richiedono minimo impegno di bilancio, ma molta volontà.
Giorgio Leo Rutigliano